• 22 Novembre 2024 4:32

Quotidiano di ispirazione cristiana e francescana

Cento anni fa Matteotti pronunciò il discorso che gli costò la vita

Alle 15 del 30 maggio di un secolo fa Giacomo Matteotti si alza nell’aula di Montecitorio e, fra mille interruzioni e minacce, pronuncia il discorso che segna la propria condanna a morte. Contesta la validità delle elezioni tenutesi in aprile, denunciando dettagliatamente i soprusi che le avevano accompagnate. A Roberto Farinacci che lo minaccia: «Va a finire che faremo sul serio quel che non abbiamo fatto»; Matteotti replica: «Fareste il vostro mestiere». E così sarà, il 10 giugno. Più e prima di chiunque altro, il socialista riformista Matteotti aveva capito, fin dal 1919, il pericolo fascista. Più di chiunque aveva denunciato quella “controrivoluzione preventiva” di una rivoluzione tanto minacciata ma mai avvenuta. Perché, nel suo Polesine – dove i socialisti avevano avuto un successo elettorale straordinario – Matteotti aveva conosciuto la natura intimamente violenta e vigliacca del fascismo: le cacce all’uomo, le sedi delle leghe incendiate; la distruzione delle case; i camion di camicie nere che nel cuore della notte arrivavano nell’aia delle cascine; intimavano al capolega di uscire; lo caricavano sul camion e lo massacravano di botte. Lui stesso, nel marzo 1921, mentre si trovava a Castelguglielmo, paesino polesano, aveva subito un sequestro lampo: aggredito in strada, bastonato, sputacchiato, spinto su un camion di squadristi con una rivoltella puntata, infine scaricato in aperta campagna.

Era stato Matteotti, a voler stampare, all’inizio del ’24, il libretto (Un anno di dominazione fascista) in cui, con «numeri, fatti e documenti» si dimostrava che il fascismo, che pretendeva d’essere andato al potere per ripristinare l’autorità statale, in realtà aveva «sostituito l’arbitrio alla Legge» e «asservito lo Stato alla fazione». Il libro avrebbe venduto, clandestinamente, 20.000 copie in Italia e sarebbe stato diffuso in tutta Europa. È per questa capacità di denunciare, argomentando, che i fascisti odiano Matteotti. Per questo lo uccidono. La sua vita e la sua sorte bastano, da sole, a sfatare quell’idea – che oggi riaffiora – di un fascismo che, prima delle leggi razziali e dell’alleanza con Hitler, era stato tutto sommato “moderato”, responsabile soltanto di qualche bicchiere di olio di ricino e di alcune “villeggiature” forzate, su qualche bella isola, inflitte agli oppositori. Smentendo le ingenerose parole di Gramsci che lo aveva definito un “pellegrino del nulla”, testimone di una lotta “senza risultato e senza vie d’uscita”, il tempo ha riconosciuto grandezza e attualità al pensiero e all’opera di Matteotti, come con grande acume ci ricorda Federico Fornaro nella sua recente biografia sull’uomo di Fratta Polesine (Giacomo Matteotti. L’Italia migliore, Bollati Boringhieri, pagine 240, euro 19,00).