Per comprendere bene che cosa sia l’Obolo di San Pietro e che cosa significhi l’espressione «Carità del Papa», bisogna andare oltre la visione ristretta che identifica la carità con l’elemosina o con le opere che nell’immaginario collettivo vengono qualificate come caritative. L’Obolo, invece fin dalle sue origini, è un invito ad allargare gli orizzonti. E non solo perché, come donazione al successore di Pietro, prese forma stabile nel VII secolo in collegamento con la festa dell’apostolo a cui Gesù ha affidato la sua Chiesa. Nella suo dna, infatti, vi è un gesto di riconoscenza e attenzione al Papa, quale espressione di unità e di corresponsabilità ecclesiale.
Nel sito vaticano (www.obolodisanpietro.va) – l’Obolo viene presentato come «un’offerta di piccola entità, ma con un respiro ed uno sguardo grande. È ciò che ciascun fedele sente di donare al Papa perché possa provvedere alle necessità della Chiesa intera, specialmente là dove è più in difficoltà».
Le conseguenze di tale natura dell’Obolo sono due. Non tutte le risorse che i fedeli indirizzano al Pontefice tramite questo canale sono – come si vuol fare credere da certi organi di stampa – destinate alla carità intesa come elemosina. Sempre nel sito già citato si dichiara apertamente, infatti, che «l’Obolo contribuisce a sostenere anche la Sede Apostolica e le attività della Santa Sede».
La seconda conseguenza è che la carità di cui qui si parla è ben più grande e inclusiva di quella dell’immaginario collettivo. Si prenda un esempio per tutti: le spese per mantenere aperta la nunziatura di Damasco, anche nel periodo più cruento della guerra in Siria, la stessa azione del nunzio cardinale Mario Zenari, possono essere derubricate a semplice spesa per il funzionamento delle strutture, o hanno avuto un ruolo insostituibile per alleviare le sofferenze della popolazione e quindi rendere presente la carità del Papa?
(fonte Avvenire)