La figura del missionario proposta dai documenti della Chiesa di oggi ha molto in comune con quanto ha suggerito Francesco d’Assisi nel suo servizio missionario, e la sua manifestazione essenziale è la testimonianza con la propria vita.
Gesù Cristo ha annunciato “il regno del Padre” non solo mediante la predicazione della parola, ma anche attraverso la testimonianza della vita (cf. Lumen Gentium, 35), e “la testimonianza della vita cristiana e le opere buone compiute con spirito soprannaturale hanno la forza di attirare gli uomini alla fede e a Dio” (Catechismo della Chiesa Cattolica, 2044). Il fatto che i cristiani hanno il dovere di mostrare Dio “con l’esempio della loro vita e con la testimonianza della loro parola l’uomo nuovo” (Ad Gentes, 11), dice anche Papa S. Paolo VI, notando che dare la testimonianza è il primo e necessario mezzo di evangelizzazione, poiché “l’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni” (Evangelii Nuntiandi, 41).
La spiritualità missionaria di oggi indica anche l’adesione interiore a Cristo come qualcosa di essenziale, poiché “non si può comprendere e vivere la missione, se non riferendosi a Cristo come l’inviato a evangelizzare” (Redemptoris Missio, 88).
Nel condividere il Vangelo con gli altri, Francesco non usava solo la parola dell’annuncio come unico mezzo per contribuire alla conversione degli altri. Un grande ruolo ha avuto l’esempio della vita. Quando ha chiesto di dare questo esempio, non l’ha fatto senza fondamento. Ha cercato di mostrare con la propria vita ciò che la Regola proponeva, e la Regola ricordava ai frati che dovevano predicare soprattutto con le azioni e con la propria vita. Questa raccomandazione dovrebbe essere realizzata soprattutto quando altre persone parlano e vivono male. In tal caso i frati minori devono avere la lode di Dio sulle loro labbra e fare opere buone, “non facciano liti o dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio a e confessino di essere cristiani” (Regola non bollata XVI, 6; FF 43).
Questo atteggiamento non ha perso nulla della sua attualità anche oggi, perché “la testimonianza evangelica, a cui il mondo è più sensibile, è quella dell’attenzione per le persone e della carità verso i poveri e i piccoli, verso chi soffre” (Redemptoris Missio, 42). Tale impostazione francescana della questione dell’evangelizzazione è molto in linea con quanto propongono attualmente le Encicliche papali. In primo luogo, il missionario testimonia con la sua vita (cf. ibid., 42), e così apre la strada all’opera di evangelizzazione per compierla “attraverso il dono non solo della parola annunciata, ma anche di quella vissuta” (Veritatis Splendor, 107). La testimonianza, invece, è al servizio della fede, perché la fede cresce e si rafforza donandola (cf. Redemptoris Missio, 2). In altre parole, affinché la trasmissione della fede sia efficace, la preghiera e l’azione devono essere intrecciate, soprattutto laddove evangelizzare attraverso la testimonianza della vita “in molti casi è l’unico modo possibile di essere missionari” (Redemptoris Missio, 42).