Commento di Fra Giuseppe Di Fatta
VI Domenica del Tempo Ordinario
Letture: Ger 17,5-8; Sal 1; 1Cor 15,12.16-20; Lc 6,17.20-26
Un caro saluto di gioia e pace a tutti voi!
Ascoltiamo il Vangelo secondo Luca in questa sesta domenica del tempo ordinario.
In quel tempo, Gesù, disceso con i Dodici, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidòne. Ed egli, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva: «Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio. Delle beatitudini la tradizione evangelica ci consegna due redazioni: quella di Matteo, più lunga e completa, e questa di Luca. In Matteo viene chiamato il discorso della montagna, indicando così il luogo privilegiato dove Dio si rivela. In Luca viene chiamato il discorso della pianura, cioè dove avviene l’evangelizzazione, l’annunzio della buona novella. Mi piace fare sintesi tra le due prospettive e dunque possiamo dire che le Beatitudini sono la più alta rivelazione di Dio all’uomo e il contenuto fondamentale dell’annuncio del Vangelo.
Beati voi, che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi, che ora piangete, perché riderete. Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti. Se vi capita di leggere qualche commento e viene usato il termine macarismo, non vi spaventate, significa semplicemente beatitudine. Un brano molto conosciuto, assai ricco di significato, molto denso e direi anche del futuro… Sono passati 2000 anni da quando queste parole sono state pronunciate ma, diciamocelo francamente, tranne qualche santo, siamo veramente lontani dal comprenderle e soprattutto dal viverle. Poveri e ricchi, fame e sazietà, odio, insulti e disprezzo da vivere nella gioia: le parole di Gesù sono presentate con delle immagini in contrasto che impongono un capovolgimento della logica umana, in cui tutto è sottosopra, all’incontrario. Se veniamo a sapere che una persona ha vinto parecchi soldi giocando, ci viene spontaneo dire Beato lui! Come conciliamo la logica del Beato lui, con Beati voi poveri? Le beatitudini evangeliche sono così lontane dalla mentalità umana, che per comprenderle e viverle occorre una vera e propria conversione. Senza conversione non c’è beatitudine!
Ma guai a voi, ricchi, perché avete già ricevuto la vostra consolazione. Guai a voi, che ora siete sazi, perché avrete fame. Guai a voi, che ora ridete, perché sarete nel dolore e piangerete. Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti» In opposizione alle Beatitudini, il Vangelo di Luca ci presenta i guai che vanno compresi non come maledizioni, perché Dio non maledice nessuno, ma come severi ammonimenti, con lo scopo di metterci in guardia e di fare delle scelte oculate. L’orizzonte spirituale attraverso cui leggere Beatitudini e guai sono le promesse battesimali: rinunci? Rinuncio! Credi? Credo! Le Beatitudini sono una proclamazione autorevole e definitiva della volontà di Dio manifestata da Gesù, come conseguenza diretta dell’annunzio del Regno dei cieli. Esse sono dono e impegno, buona notizia per i poveri e programma di vita per gli uomini dal cuore puro. Le esigenze etiche che ne scaturiscono ricevono la loro serietà e radicalità nella prospettiva del Regno di Dio.
Beati voi poveri. È la prima beatitudine e in fondo il prologo di tutte le altre. È il prolungamento evangelico della spiritualità degli anawim, i poveri di Jahvè, che nell’Antico Testamento erano quella categoria di persone così povere da avere solo Dio come amico, difensore e sostegno. Il significato fondamentale è quello di un’umile e fiduciosa sottomissione a Dio, contrapposta all’arroganza e presunzione di quanti hanno il cuore chiuso e indurito. È la richiesta di incamminarsi verso uno spirito di umiltà e semplicità, contro l’arrivismo e la vanità della vita. Non sono povero in senso evangelico quando mi sento superiore e migliore degli altri, offendo e umilio i fratelli, pretendo di avere sempre ragione, voglio stare al centro dell’attenzione, mi offendo per ogni sciocchezza, non faccio niente per gli altri e pretendo che gli altri facciano tutto per me, sono insopportabile e nervoso, quando il clima della mia famiglia o della mia fraternità dipende dal mio umore… Questa parola del Vangelo è una proposta di autentica libertà nei confronti di quanto è passeggero e non dà vera felicità, proprio perché destinato a perire. Trova nello stesso Gesù il modello assoluto e in Francesco di Assisi una viva immagine di Lui. Questo tipo di povertà ci rende credenti autentici e gioiosi, testimoni credibili di un Regno fatto di valori altamente umani e non di cose materiali. Un ideale di vita verso cui continuamente tendere.
Una santa e serena domenica!