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Assunzione di Maria, cosa dicono i Padri della Chiesa?

San Germano di Costantinopoli (635 ca.-733), considerato il vertice della mariologia patristica, è  in favore dell’Assunzione e per tre principali ragioni: pone sulla bocca di Gesù queste parole:  «Vieni di buon grado presso colui che è stato da te generato. Con dovere di figlio io voglio rallegrarti; voglio ripagare la dimora nel seno materno, il soldo dell’allattamento, il compenso dell’educazione; voglio dare la certezza al tuo cuore. O Madre, tu che mi hai avuto come figlio unigenito, scegli piuttosto di abitare con me».  Altra ragione è data dalla totale purezza e integrità di Maria. Terzo: il ruolo di intercessione e di mediazione che la Vergine è chiamata a svolgere davanti al Figlio in favore degli uomini.

Leggiamo ancora nel suo scritto dell’Omelia I sulla Dormizione, che attinge a sua volta da San Giovanni Arcivescovo di Tessalonica ( tra il 610 e il 649 ca.) e da un testo di quest’ultimo, che descrive dettagliatamente le origini della festa dell’Assunzione, dato certo nella Chiesa Orientale dei primi secoli: «Essendo umano (il tuo corpo) si è trasformato per adattarsi alla suprema vita dell’immortalità; tuttavia è rimasto integro e gloriosissimo, dotato di perfetta vitalità e non soggetto al sonno (della morte), proprio perché non era possibile che fosse posseduto da un sepolcro, compagno della morte, quel vaso che conteneva Dio e quel tempio vivente della divinità santissima dell’Unigenito». Poi prosegue: «Tu, secondo ciò che è stato scritto, sei bella e il tuo corpo verginale è tutto santo, tutto casto, tutto abitazione di Dio: perciò è anche estraneo al dissolvimento in polvere. Infatti, come un figlio cerca e desidera la propria madre, e la madre ama vivere con il figlio, così fu giusto che anche tu, che possedevi un cuore colmo di amore materno verso il Figlio tuo e Dio, ritornassi a lui; e fu anche del tutto conveniente che a sua volta Dio, il quale nei tuoi riguardi aveva quel sentimento d’amore che si prova per una madre, ti rendesse partecipe della sua comunanza di vita con se stesso».

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