Sono in vigore dal 1° maggio le nuove linee guida per la formazione che gli enti autorizzati sono tenuti ad erogare ai futuri genitori adottivi. L’adozione è cambiata ed è cruciale avere una maggiore consapevolezza delle esatte caratteristiche dei bambini e dei loro bisogni. Per questo la formazione punta sui professionisti
Il 1° maggio sono entrate in vigore le nuove Linee guida per la formazione delle coppie che aspirano all’adozione internazionale, dopo il conferimento del mandato all’ente autorizzato. Il documento è stato realizzato da un gruppo di lavoro formato da esperti del settore e rappresentanti degli enti autorizzati (scaricale qui) e punta a superare la disomogeneità ad oggi esistente nei percorsi formativi che gli enti mettono in campo. Quella della formazione d’altronde è una partita cruciale se – come dice il vicepresidente della Commissione Adozioni Internazionali Vincenzo Starita – l’adozione internazionale è già cambiata e occorre prenderne atto, senza restare ancorati a un’immagine dell’adozione che non corrisponde più alla realtà.
Cosa cambia per le coppie
Che novità ci sono, in termini di miglioramento per le coppie? «Senza dubbio vediamo come un traguardo raggiunto l’omogeneità formativa: tutti gli enti – che prima facevano formazione con impostazioni differenti, che variavano a seconda della storia e delle peculiari sensibilità di ciascuno – ora devono attenersi a indicazioni precise rispetto per esempio al numero di ore di formazione da erogare, agli argomenti da trattare e alle professionalità da mettere in campo. Insomma, prima la formazione era a macchia di leopardo e a seconda dell’ente la coppia aveva opportunità formative differenti, mentre ora ci sono livelli qualitativi», afferma Valentina Colonna, presidente di Mama Happy e consigliera del Coordinamento Care, all’inizio del suo secondo mandato come commissaria Cai in rappresentanza delle associazioni familiari.
«Ora per esempio si chiarisce che la formazione deve essere fatta da professionisti con una specifica competenza in materia di adozioni internazionali – come lo psicologo, l’esperto di materie giuridiche, il mediatore interculturale, il medico… – eventualmente con l’ausilio di volontari formati. Ci auguriamo che questo percorso aumenti il sostegno alle coppie, in una logica di maggior consapevolezza del percorso adottivo e di tutte le situazioni che dovranno affrontare».
Dobbiamo cogliere l’opportunità del coinvolgimento di professionisti non solo e non tanto per dare alle coppie una “infarinatura” sul Paese di origine del bambino ma per fare un affondo su cosa significa la multiculturalità quando il bambino o il ragazzo sarà qui in Italia
In particolare, Colonna auspica che la nuova formazione possa “fare la differenza” nelle situazioni legate al mondo “scuola” – dato che sul punto, per quanto ci siano delle ottime (e aggiornate) linee guida, le scuole sono spesso impreparate ad accogliere un alunno con background adottivo – e in quelle complesse legate alla multiculturalità.
«Dobbiamo cogliere l’opportunità del coinvolgimento di professionisti non solo e non tanto per dare alle coppie una “infarinatura” sul Paese di origine del bambino ma proprio per fare un affondo su cosa significa la multiculturalità quando il bambino o il ragazzo sarà qui in Italia, preparare le famiglie a tutte le situazioni che i loro figli vivranno, dando strumenti per lavorare sulle differenze etniche e culturali e su come rafforzare i propri figli. Dobbiamo superare una coscienza color blind e affrontare un contesto che nella quotidianità non possiamo nasconderci».
Che cosa non è (più) l’adozione internazionale
Le linee guida sono molto molto chiare nel ribadire che «l’adozione internazionale è un intervento sussidiario di tutela dei minori in stato di abbandono che non trovano accoglienza nel proprio Paese. A tal riguardo, il superiore interesse del minore diviene indicatore nazionale e sovranazionale del bene giuridico, da promuovere con enfatica priorità rispetto agli altri interessi coinvolti». E ancora: «Se questo è il punto di partenza, ne discende che i diritti e gli interessi degli adulti cedano dinnanzi ai diritti e all’interesse del fanciullo, assumendo una portata funzionale alla protezione del minore».
Un passaggio delle Linee guida esplicitamente afferma che «la genitorialità adottiva non può essere un percorso riparativo rispetto alla frustrazione che scaturisce dalla mancata genitorialità biologica; gli aspiranti all’adozione devono presentarsi all’incontro con il bambino dopo aver adeguatamente elaborato le fatiche, il dolore, il peso che l’impossibilità di realizzare il proprio progetto di vita familiare e di coppia ha portato con sé, per costruire uno spazio adeguato ed accogliente per il bambino che arriverà».
L’adozione internazionale è un atto di amore che vuole assicurare una famiglia a un bambino, non un bambino ad una famiglia
Che cosa è l’adozione internazionale
«L’adozione internazionale è un atto di amore che vuole assicurare una famiglia a un bambino, non un bambino ad una famiglia», si legge nelle nuove Linee guida. «Un minore dichiarato in stato di abbandono e una coppia valutata idonea all’adozione, letteralmente, costituiscono due mondi che entrano in rapporto tra di loro. La coppia che intende affrontare un percorso di adozione internazionale deve essere messa nelle condizioni di compiere una valutazione della propria disponibilità ad accogliere e rispettare la storia del minore, ad accompagnarlo nel suo inserimento familiare e sociale, nonché a farsi carico della sua sofferenza pregressa legata all’abbandono, senza rinnegare o dimenticare le sue origini culturali, fungendo da anello di congiunzione tra il suo passato ed il suo futuro».
Il ruolo degli enti autorizzati
La formazione delle coppie aspiranti all’adozione internazionale svolta dagli Enti autorizzati «ha l’arduo compito di sviluppare nella coppia un’apertura profonda e autentica all’accoglienza». Si tratta di «una strada a tratti tortuosa, che la coppia non può compiere in solitudine; ha il diritto di trovare lungo il suo cammino operatori professionali preparati e attenti, che la guidino con competenza nel passaggio dall’informazione alla consapevolezza, verso la maturazione di quelle competenze che il bambino richiede».
Gli enti autorizzati «sono chiamati a realizzare percorsi di formazione che consentano di superare un approccio che spinge alla ricerca di un figlio “ideale”, piccolo, sano, senza ricordi, senza una storia, per approdare ad una visione dell’adozione focalizzata sul bisogno del minore, formando all’accoglienza di un figlio con una propria storia, possibili necessità sanitarie legate allo stato di abbandono e, finanche, con special needs legati all’età, a problematiche psico-fisiche di vario genere o all’appartenenza a fratrie».
(Fonte: vita.it)