• 22 Novembre 2024 7:43

Quotidiano di ispirazione cristiana e francescana

Mi si è ristretta la cattedra

di Nicola Antonazzo – Le trasformazioni della scuola italiana (e non) degli ultimi anni sono ormai inesorabili e, spesso, irrefrenabili. Si tratta di cambiamenti, anche radicali, legati ai programmi, agli indirizzi di studio, alla modalità di selezione del personale e a tanti altri micro e macro aspetti della vita scolastica che, per chi ha fatto scuola con lo zaino in spalla nel XX secolo, lasciano un po’ amaro in bocca e tanta perplessità. Il cambiamento più evidente è il cambio di paradigma: si è passati dall’andare a scuola per imparare a leggere, scrivere e far di conto (a tutti i livelli) allo “stiamo insieme e volemose bene”. Si è spostato il baricentro sulla scuola come luogo per imparare a quello di luogo dove vivere un’esperienza positiva. Se poi poco o niente ho imparato in tredici anni di frequenza regolare poco importa. Per imparare c’è sempre tempo.  L’evidenza del cambiamento passa anche dall’arredamento scolastico.

Se c’è un elemento che ha visto modificare il suo design negli ultimi vent’anni questa è sicuramente la cattedra. Da altura inaccessibile e simbolo del potere indiscusso dei docenti, negli ultimi anni, si è letteralmente rimpicciolita finendo, in alcuni casi, per sparire totalmente dalla circolazione sostituita da un tavolino modello lounge bar. Il processo di decluttering è iniziato con l’abbassamento a terra. La vecchia cattedra non poggiava sul pavimento ma su di una solida pedana che la rialzava di almeno dieci centimetri da terra facendola svettare sul feudo-classe come un castello medievale sulle terre dei popolani. Troppo in alto, troppa distanza: abbassiamo e livelliamo docenti e alunni. Povero piccolo docente, che adesso a fatica riesce a scorgere il fondo della classe, terra di nessuno e zona franca da ogni desiderio di apprendere. Tutto finito? Per niente. La cura detox della cattedra è solo all’inizio. Quella che un tempo sembrava la plancia di comando della USS Enterprise, dotata di cassetti e spazi accessibili al solo docente, ha smaltito ogni possibile spazio occulto per assumere una condizione minimal, parente stretto del tavolo da cucina dove appoggiare la spesa.

Il terzo passo (ma non è detto che sia l’ultimo) è la sua versione atomizzata, in teoria non più divisibile ma sempre pronta ad essere scissa in elementi ancora più piccoli. Se la versione domestica sembrava quella più essenziale ci hanno pensato i designer del ministero a ridurre lo spazio a meno del necessario. Un tavolinetto a scomparsa (non sia mai che gli alunni la scambino per un arnese da tortura) per quando non serve, dove il docente può planare mentre effettua il suo volo di ricognizione sugli alunni impegnati a fare debate, inquadrati in un circle time mentre impostano un piano per capovolgere la classe. E pensare che durante la pandemia era stato il tavolo della cucina a trasformarsi in cattedra, ospitando tablet, notebook e ogni altro strumento per mettere in scena una parvenza di lezione. Tra una pentola fumante di broccoli, un forno acceso dove cuocere il pane senza lievito e con lo sfondo di un frigorifero tempestato di magneti di viaggi mai fatti, la cattedra domestica è rimasta, in quei giorni di scuola a distanza, l’unico baluardo in difesa dell’apprendimento a tutti costi mentre le aule scolastiche si raffreddavano di solitudine.

La cattedra va scomparendo e con essa un’idea di scuola che aiutava a risalire la scala sociale e affermarsi con le proprie forze. Le auguriamo di essere riposta in qualche museo (non in un polveroso scantinato scolastico!) dove ricordare a tutti che in cattedra “si saliva” quando si era in grado di trasmettere il sapere, lasciando il segno nel cuore degli alunni.