• 22 Novembre 2024 20:53

Quotidiano di ispirazione cristiana e francescana

Elezioni europee: alcune questioni cruciali

Le elezioni europee del 2024 si svolgeranno da giovedì 6 a domenica 9 giugno, giorni in cui i cittadini degli Stati membri dell’Ue saranno chiamati a eleggere i propri rappresentanti al Parlamento europeo. In un anno caratterizzato da elezioni in molti Paesi chiave – Stati Uniti, Brasile, India, Indonesia, Pakistan, per citarne solo alcuni –, le elezioni europee rappresentano forse un’eccezione, non essendo a carattere nazionale, ma non sono certamente le meno importanti. Infatti, hanno diritto di voto quasi 400 milioni di cittadini europei. Ciò rende tali elezioni seconde a livello mondiale solo a quelle federali indiane, in termini di democrazia rappresentativa. Nella misura in cui influenzano le politiche dell’Ue, il loro impatto è globale: sebbene l’Unione europea non sia più la potenza economica di un tempo, essa appartiene ancora, insieme agli Stati Uniti e alla Cina, a un gruppo molto selezionato di attori che definiscono la politica mondiale.

Le elezioni europee sono anche un caso unico, in quanto coinvolgono Paesi diversi, con storia, tradizioni e lingue molto differenti. Mobilitano decine, se non centinaia, di partiti politici a livello nazionale, che offrono il loro punto di vista sulle questioni attuali. Riguardano un sistema sovranazionale che collega gli Stati-nazione in una rete di istituzioni e obblighi comuni, per comporre un assetto che è ancora pressoché unico nel suo genere.

Non si pretende qui di offrire una visione esaustiva di tutta la posta in gioco nelle elezioni europee del 2024. Ovviamente poche pagine non basterebbero. Lo scopo è piuttosto quello di presentare alcune delle sfide che tali elezioni si trovano ad affrontare, di evidenziarne le potenziali ripercussioni e di identificare alcune questioni essenziali per l’Europa di oggi, in una prospettiva cattolica.

Per che cosa votano gli europei, di preciso?

Innanzitutto, che cosa possono decidere gli elettori europei con il loro voto? È una domanda importante, dal momento che le conseguenze del voto dei cittadini variano molto a seconda del sistema democratico in cui lo si esprime. L’architettura europea è sostanzialmente basata su un sistema di tre attori. Il primo, il Consiglio europeo, riunisce i rappresentanti degli Stati membri (ministri o capi di governo, a seconda dei casi). È allo stesso tempo una istituzione che opera, in un certo senso, analogamente a un presidente dotato di poteri – fissa orientamenti, trova compromessi ecc. – e a una Camera alta, che condivide equamente il potere legislativo con il Parlamento. Questa è l’istituzione meno toccata dalle elezioni europee. La sua legittimità proviene dalle elezioni nazionali, non da quelle comunitarie, e il suo equilibrio politico può essere molto diverso da quello parlamentare. In effetti, il Partito popolare europeo – che attualmente è il gruppo più numeroso in Parlamento – non ha molto potere a livello nazionale, soprattutto nei grandi Paesi. Per il Consiglio, le elezioni europee sono, tutt’al più, un indicatore dello stato d’animo della popolazione, percepito attraverso una prospettiva nazionale.

Possiamo intendere la Commissione europea come l’organo amministrativo dell’Ue, sebbene sia dotata di competenze solitamente riservate a un governo in un contesto nazionale. La Commissione prepara proposte legislative, aiuta a negoziarne l’adozione da parte del Consiglio e del Parlamento, e poi le attua, anche emanando sotto delega la legislazione secondaria. Dovrebbe essere un attore indipendente e garante dei trattati. Questa neutralità non si ottiene facendola gestire interamente da figure apolitiche, ma piuttosto selezionando figure politiche diverse – in termini di origini nazionali e politiche –, che vengono messe a capo dei settori politici della Commissione, attraverso un processo che coinvolge gli Stati membri, il futuro capo della Commissione e il Consiglio.

La Commissione risente in misura limitata delle elezioni europee. Una volta selezionati, i potenziali commissari vengono esaminati dal Parlamento, che poi vota per accettare la Commissione che è stata composta. Ciò dà in pratica al Parlamento la possibilità di respingere i candidati, negandone l’approvazione. Si tratta di una scelta che è ben lungi dal costituire una selezione diretta dei commissari attraverso il voto popolare, ma in compenso garantisce un equilibrio tra la legittimità del Consiglio e quella del Parlamento riguardo alla costituzione della Commissione.

Quanto al presidente della Commissione, le cose vanno in maniera leggermente diversa. In vista delle elezioni del 2014, era invalsa l’idea di dare più peso democratico a tale carica, secondo il sistema dello spitzenkandidat. Di che si tratta? I partiti politici europei presentano un candidato a capo della loro campagna e, a suo tempo, il Consiglio individua come presidente della Commissione il candidato del partito che ha ottenuto più seggi. Così è accaduto ai tempi della Commissione Juncker, nel 2014. Tuttavia in seguito gli Stati membri, poco convinti del tenore democratico di quella modalità e ancor meno convinti circa Manfred Weber, allora candidato del Partito popolare europeo (Ppe), nel 2019 hanno accantonato questa pratica, per scegliere invece Ursula von der Leyen (connazionale e dello stesso partito di Weber).

In teoria, il sistema dello spitzenkandidat è stato ripreso per il 2024, ma in modo poco convinto. Nessuna formazione politica può rea­listicamente sperare di detronizzare il Ppe come primo partito in Parlamento. A sua volta, il Ppe, sapendo di non avere punti di riferimento nelle capitali nazionali, ha scelto di nuovo von der Leyen come candidata, con una votazione piuttosto deludente, non tanto perché ella incarni l’attuale linea del partito, ma piuttosto perché è ritenuta accettabile dagli Stati membri.

Il terzo e ultimo attore principale dell’Ue è il Parlamento. Esso ovviamente è il più legato alle elezioni, che ne determinano in modo diretto la composizione. Negli ultimi decenni, soprattutto dopo il Trattato di Lisbona, esso si è rivelato un vero e proprio contrappeso del Consiglio. Nell’ambito della procedura legislativa ordinaria, che oggi costituisce la forma più comune di adozione delle leggi europee, i testi vengono proposti dalla Commissione. Dopo un periodo di negoziati tra Commissione, Consiglio e Parlamento, noto come «trilogo», i progetti, previa approvazione, vengono adottati sia dal Parlamento sia dal Consiglio. Poiché per lo più i testi vengono ratificati anche da maggioranze qualificate in seno al Consiglio, il Parlamento ha più margine di manovra nei negoziati, non dovendo affrontare il compito, spesso impossibile, di accontentare ogni singolo Paese. Oltre al ruolo legislativo, esso ha voce in capitolo sul bilancio dell’Ue e controlla il lavoro della Commissione. Funge anche come luogo d’influenza, dove gli eurodeputati – i membri del Parlamento europeo –, attraverso mozioni e dichiarazioni, cercano di attirare l’attenzione sia del pubblico in generale sia dei responsabili politici su varie questioni.

Recenti sondaggi danno un’idea della direzione che prenderà il Parlamento nel 2024. I cristiano-democratici (Partito popolare europeo) dovrebbero più o meno mantenere i loro seggi e rimanere il primo gruppo del Parlamento. I socialisti (Alleanza progressista dei socialisti e dei democratici, S&D) potrebbero subire un lieve calo, che tuttavia non impedirà loro di mantenere la loro posizione come seconda forza. I centristi-liberali (Renew Europe) probabilmente andranno incontro a un calo più sensibile, passando dal terzo al quarto posto. Un destino analogo potrebbe toccare ai due gruppi più piccoli: gli ecologisti (Verdi – Alleanza libera europea) e la formazione della sinistra radicale (La Sinistra). Nel frattempo, i conservatori euroscettici (Conservatori e riformisti europei, Ecr) e gli euroscettici di estrema destra (Identità e democrazia, Id), sono destinati ad aumentare in modo rilevante, al punto da ottenere il terzo posto, sottraendolo a Renew.

Queste evoluzioni potrebbero comportare un significativo spostamento a destra del Parlamento. Finora la coalizione centrista (Ppe+S&D+Renew) è stata compatta riguardo a molte questioni fondamentali, come il bilancio, gli affari economici e monetari, quelli esteri o il mercato interno. A volte è stata superata da una coalizione di centrosinistra (Sinistra+Verdi+S&D+Renew), soprattutto per quanto concerne le libertà civili, le questioni sociali o l’ambiente. Esisteva anche una possibile coalizione di centrodestra (Renew+Ppe+Ecr+qualche Id), soprattutto su agricoltura, politica industriale e commercio. Ovviamente si tratta di un quadro molto semplificato, perché la disciplina di gruppo non è rigida come nelle assemblee nazionali e non tiene conto dei partiti non allineati[1].

Il grande cambiamento avverrà nel segno dell’impossibilità numerica di una coalizione di centrosinistra. Questo darà al Ppe un grande potere d’influenza sul passaggio a norme ambientali meno vincolanti o a politiche migratorie più rigide. Il Ppe avrà la possibilità di pretendere testi di suo gradimento nel quadro di una coalizione centrista, oppure di spingere tali questioni verso una coalizione di centrodestra. Quanto ai partiti populisti e di estrema destra, essi eserciteranno un’attrazione ben maggiore al momento di convincere il Ppe a formare una coalizione.

Concezioni divergenti del progetto europeo

Veniamo ora alle questioni chiave in gioco nelle elezioni del 2024. Una prima linea di frattura c’è tra i partiti che sostengono il perseguimento di una più stretta integrazione europea e quelli convinti che l’integrazione sia già andata troppo oltre e debba essere arginata, se non ridotta – o addirittura azzerata –, per preservare la sovranità degli Stati.

(fonte Civiltà Cattolica)