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Caso Vannacci, situazione grave ma non seria per le fesserie che dice

Diilsycomoro

Ago 24, 2023

di Francesco Anfossi – Da oltre una settimana il generale “celodurista” Roberto Vannacci scorrazza su e giù per i social col suo Mondo al contrario. Una faccenda grave ma non seria, direbbe Flaiano. Grave perché si tratta pur sempre di un generale, e dunque tenuto al rispetto della Costituzione, in particolare all’articolo 54 che parla dell’obbligo di “disciplina e onore” per i servitori dello Stato. E non pare di ritrovare particolare disciplina e onore in chi – oltre a rivendicare il diritto all’odio –  chiama le donne “fattucchiere” e se la prende con omosessuali e neri. Ma la faccenda non è nemmeno seria per le fesserie che dice. Vannacci sostiene che quando vede una persona di pelle scura non pensa a un italiano poiché l’italiano da 8 mila anni è identificato dalla pelle bianca. E non si capisce da dove nasca la periodizzazione. Dunque secondo i conti del generale nel seimila avanti Cristo, ovvero nel neolitico, qualche negretto in giro doveva esserci. Poi deve essere successo qualcosa, forse i bianchi scesero dalle palafitte nei loro completini in pelle di capra per randellarli e dare così inizio alla stirpe italica dalla tintarella color latte. Peccato che la pelle degli italiani non è mai stata considerata bianca dagli abitanti del mondo, bensi olivastra (come quella di Vannacci, mi pare dalle foto esemplare), tanto è vero che nel ‘900 gli americani di origine irlandese, inglese o tedesca chiamavano i poveri immigrati italiani “mezzi negri”, proprio per via del loro colorito.

Ma quello che è più risibile è l’essersi paragonato a Caio Giulio Cesare. Non tanto perché, come hanno fatto notare storici come Cardini e Canfora, il dittatore eroe delle Gallie era bisessuale (Cicerone lo definiva “marito di tutte le mogli e moglie di tutti i mariti”) ma soprattutto perché paragoni del genere sono del tutto anacronistici. Cesare era un uomo del suo tempo, allora si usava, tra l’altro questo suo lato effeminato non impediva una ferocia inumana e diabolica attuata in nome della sua smisurata ambizione, ingiustificata solo a partire dallo spartiacque del Vangelo, ma nel caso del console talmente crudele da risultare inconsueta ed esecrabile perfino dai contemporanei (Catone uticense, che non era certo un pacifista, disse in Senato che dopo il genocidio che aveva messo in atto in Gallia bisognava consegnarlo ai barbari per dargli quello che si meritava come criminale di guerra). Certo aveva fama di perdonare gli amici che lo tradivano, come quel ladruncolo di Sallustio, ma da dittatore non esitò a far crocifiggere migliaia di uomini e donne, compresi gli uomini che lo avevano rapito e con cui aveva convissuto per un anno intero.

La storia va maneggiata con cura, più dei paracadute, se non si vuole cadere nel ridicolo. Non la si può scrivere al contrario. Forse sarebbe stato meno anacronistico paragonarsi a Napoleone, anche se in questo caso c’è più concorrenza.

(fonte Famiglia Cristiana)