• 22 Novembre 2024 12:36

Quotidiano di ispirazione cristiana e francescana

In Sicilia si ritorna indietro di qualche anno, potrebbe sembrare un déjà-vu e invece è la realtà: sia la Dc di Cuffaro che il Movimento per l’Autonomia di Raffaele Lombardo segnano vittorie elettorali di peso in diverse città. Uno dei dati politici delle amministrative siciliane è proprio il rientro di due ex presidenti della Regione, l’autonomista Raffaele Lombardo e il democristiano Totò Cuffaro, che trionfano nelle loro roccaforti, riuscendo a eleggere sindaci, consiglieri e a conquistare qua e là persino il podio del primo partito.

Senza dimenticare il successo degli scorsi mesi che ha visto l’endorsement Cuffaro-Dell’Utri per l’elezione del primo cittadino di Palermo e il presidente della Regione Sicilia. L’ex senatore di Forza Italia e l’ex governatore siciliano sono tornati a giocare un ruolo di primo piano sullo sfondo di alleanze e coalizioni. Condannati in via definiva per concorso esterno e favoreggiamento a Cosa nostra, i due hanno scontato la loro pena e dunque hanno il diritto di sostenere chi vogliono e rientrare in politica. Questioni di opportunità [e coerenza] a parte, le loro opinioni sono talmente ascoltate che cambiano le scelte dei partiti, dei candidati e dirigono la massa popolare. Basti ricordare che nel 2006 vinse la coalizione che sosteneva Totò Cuffaro, in quel momento a giudizio per favoreggiamento a Cosa nostra, battendo clamorosamente Rita Borsellino. Ma ancora più di Cuffaro, c’è la forza di Dell’Utri, condannato per concorso esterno a Cosa nostra, arrestato da latitante in Libano, poi sulle spalle sette anni di carcere, indagato per le stragi del ’92 e ’93, e per il processo sui mandanti occulti, detta ancora i tempi della politica italiana. Si muove nelle retrovie, la vera eminenza grigia che sposta consensi e voti, individua i referenti politici su cui i partiti si coalizzano, crea dinamiche e segna la direzione. A maggio dello scorso anno, prima delle elezioni comunali, in molti affluirono in una sorta di pellegrinaggio verso Dell’Utri, in cerca del suo appoggio. In quell’occasione era stato avvistato anche un altro candidato, Nello Musumeci, all’hotel des Palmes, nel cuore di Palermo.

Raccontano i retroscena che il governatore abbia chiesto a Dell’Utri d’intercedere con Berlusconi, visto che Gianfranco Miccichè, indiscusso referente di Forza Italia sull’isola, non sembrava intenzionato ad appoggiarlo. Pare che Dell’Utri si sia messo a disposizione, avrebbe chiamato Berlusconi passandoglielo al telefono. Musumeci ha preso le distanze da quanto riferito, mentre Dell’Utri ha confermato quasi integralmente, sostenendo però di aver parlato solo di libri. Ma l’ex senatore di FI è stato il primo a indicare in Roberto Lagalla il candidato ideale per ricoprire il ruolo di sindaco di Palermo.

Ritornano, dunque, i vecchi tempi e con essi anche i due ex democristiani che si spartivano la Sicilia, dopo gli anni di processo di uno e gli anni di carcere dell’altro, rieccoli a determinare le sorti elettorali dell’isola. Nel 2012 Raffaele Lombardo si dimise in anticipo per il rinvio a giudizio per concorso esterno e corruzione elettorale, poi assolto. Aveva ereditato lo scranno più alto della Sicilia da Totò, subito dopo che questo l’aveva lasciato a sua volta, dopo la condanna per favoreggiamento alla mafia. Entrambi sono stati presidenti della Regione, entrambi dimissionari per accuse legate alla mafia, entrambi ora di nuovo in politica.

Lombardo dopo 11 anni di processo è stato assolto in Cassazione. In primo grado il fondatore del Movimento per l’Autonomia era stato condannato a 6 anni e 8 mesi per concorso esterno alla mafia. Nel primo processo d’Appello l’accusa aveva chiesto la condanna a 7 anni e 8 mesi di reclusione, addirittura un anno in più della sentenza di primo grado, contestando anche il reato elettorale. In appello però viene condannato solo a due anni per corruzione elettorale aggravata dal metodo mafioso. La sentenza viene poi annullata dalla Suprema corte, che nel 2018 aveva ordinato un nuovo processo d’Appello, concluso con l’assoluzione. Successivamente, la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso della procura confermando la sentenza di assoluzione nell’Appello bis. La procura aveva sollecitato, invece, un annullamento con rinvio della sentenza e un nuovo esame da parte dei giudici di secondo grado. “Siamo in presenza di un rapporto privilegiato tra un esponente istituzionale e esponenti di spicco di un’associazione. Serve una valutazione più approfondita della Corte di merito”, si dirà nella requisitoria. La difesa, invece, sostiene che non è stato dimostrato “alcun presunto patto, a oggi non definito, non collocato nè nello spazio nè nel tempo”. Dunque è inammissibile il ricorso contro l’assoluzione di Lombardo. La vicenda giudiziaria si chiude a marzo 2023. Pochi mesi fa, arriva anche la riabilitazione dal tribunale di sorveglianza di Palermo per Cuffaro, che dopo avere scontato la condanna, era interdetto dai pubblici uffici.

La Sicilia riscopre i suoi figli dei decenni passati, tra bagni di folla e nuovi entusiasmi. A Sambuca di Sicilia, nel piccolo centro nella valle del Belice, è ricomparso nel gruppo dei sostenitori di Cuffaro pure Domenico Miceli, condannato per concorso esterno a Cosa nostra nella stessa vicenda che ha portato Cuffaro in carcere per favoreggiamento alla mafia. Per l’ex assessore comunale alla Sanità ci fu la condanna a sei anni e sei mesi, per concorso in associazione mafiosa. Delfino dell’ex governatore e astro nascente dell’Udc siciliana nei primi anni Duemila, secondo gli inquirenti Miceli era il tramite tra la politica ed il capomafia di Brancaccio, Giuseppe Guttadauro. Mesi di conversazioni intercettate tra i due consentirono agli investigatori di accertare gli interessi del boss nella sanità e i suoi rapporti con i politici. Secondo la procura di Palermo, Miceli era il trait d’union tra lo stesso Cuffaro e Giuseppe Guttadauro. Secondo la procura di Palermo ad avvertire Guttadauro delle cimici era stato il medico Salvatore Aragona, a sua volta informato da Miceli, avvisato da Cuffaro. Miceli ha ammesso di avere incontrato Guttadauro, sostenendo di averlo fatto solo perché si trattava di un collega medico, non era a conoscenza del suo calibro mafioso, nonostante all’epoca il boss fosse già stato condannato persino al Maxiprocesso di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Nel 2012, dopo la pronuncia della Cassazione, Miceli si era costituito a Rebibbia, lo stesso carcere dove all’epoca era detenuto Cuffaro. Nel 2014 Miceli aveva ottenuto l’affidamento in prova ai servizi sociali, che invece era stato negato a Cuffaro. L’ex governatore era stato scarcerato per fine pena alla fine dell’anno successivo.

Il boss Giuseppe Guttadauro, anche egli medico, è il fratello del cognato di Matteo Messina Denaro, salito a capo del mandamento di Brancaccio, dopo l’arresto dei boss Giuseppe e Filippo Graviano, Mangano e Spatuzza. Giuseppe Guttadauro già condannato per mafia innumerevoli volte è finito nuovamente agli arresti lo scorso febbraio e a maggio condannato assieme al figlio per mafia. Secondo i pm, i due avrebbero proseguito le attività mafiose, nonostante le numerose sentenze di colpevolezza riguardanti Guttadauro senior, processato al Maxi, poi al Golden Market e successivamente in Ghiaccio, giudizio parallelo a quello sulle Talpe in procura, che vide la condanna di Totò Cuffaro. Nella nuova inchiesta, padre e figlio rispondevano dell’appartenenza alla famiglia mafiosa di Roccella-Brancaccio e di notevoli ingerenze sul clan di Villabate (Palermo). Il fratello, Filippo Guttadauro ha sposato la sorella del boss ex superlatitante, Rosalia Messina Denaro, finita a sua volta in carcere a marzo scorso perchè ritenuta una delle parti attive della latitanza del capomafia di Castelvetrano (Trapani). Anche il figlio e il genero della coppia Guttadauro-Messina Denaro, Francesco Guttadauro e Francesco Bonomo, sono stati processati e condannati per mafia. La figlia di Filippo è Lorenza Guttadauro, avvocato e difensore della zia Anna Patrizia, sorella di Messina Denaro, del fratello Francesco, arrestati con l’accusa di essere il braccio operativo del capomafia. L’avvocatessa aveva preso l’incarico della difesa anche del marito Luca Bellomo e dello zio Matteo Messina Denaro, salvo poi rinunciare in entrambe le occasioni per evitare venisse sollevata l’incompatibilità.

Sia Cuffaro che Miceli hanno finito di scontare la pena e Totò Cuffaro è tornato a occuparsi di politica rilanciando la Democrazia cristiana. La Dc un partito appoggiato anche da Miceli, che è originario di Sambuca di Sicilia, in provincia di Agrigento, dove la sua famiglia ha una lunga tradizione politica. Lo scorso dicembre, nell’ambito del processo ‘Borgo dei Borghi’, lo stesso paese è stato movimentato dalla sentenza di condanna per mafia a carico di Leo Sutera,“’u professuri”, ritenuto tra gli uomini più fidati di Matteo Messina Denaro, in rapporti eccellenti anche con Leoluca Bagarella, cognato di Totò Riina. Sutera è stato per anni ai vertici di Cosa Nostra agrigentina, capomandamento di Sambuca. Anche da sorvegliato speciale incontrava i boss di mezza Sicilia; con quelli trapanesi e palermitani programmava le attività di Cosa nostra. Sutera è considerato il punto di riferimento dell’organizzazione criminale nell’agrigentino. Dalle indagini emergono gli affari del clan, estorsioni, l’obbligo imposto alle ditte appaltatrici dei lavori ad approvvigionarsi presso le imprese compiacenti, assunzioni e subappalti, ma anche la strada sbarrata a quelle che lui escludeva dal mercato.

Documentato il ricorso ai pizzini, dalle indagini emergono i contatti con Messina Denaro. Nel dicembre 2022, appena dieci giorni dopo la condanna per concorso esterno in associazione mafiosa all’ex senatore e fondatore di FI D’Alì, trapanese e altrettanto in amicizia con la famiglia Messina Denaro, arriva la sentenza definitiva a 14 anni e sei mesi di reclusione per Sutera, che risponde di associazione per delinquere di tipo mafioso. Per gli inquirenti era tornato operativo e aveva ripreso a gestire attività mafiose, dopo l’ultimo arresto nell’operazione Nuova Cupola, in cui era già stato condannato a 4 anni di reclusione per associazione mafiosa. Dalle risultanze investigative è emerso «che ha ricostruito i suoi interessi criminali. Sutera avrebbe impartito direttive attraverso la costante partecipazione a riunioni ed incontri con gli altri associati e presieduto a tutte le attività, curando personalmente le ingerenze del clan in appalti ed opere pubbliche, nonché assicurando il collegamento con altre articolazioni territoriali di Cosa nostra».

Il nome di Sutera è legato fortemente alle dinamiche della mafia siciliana, in particolare alle ultime convergenze dei boss delle tre province – Palermo, Trapani e Agrigento – che hanno agito per interessi comuni. La conferma è arrivata dalla ricostruzione di alcuni summit. All’ultimo, super riservato, avrebbe partecipato Matteo Messina Denaro, ispiratore della stagione del dialogo. Ed è sicuro come tutte e tre le province siano coinvolte nei progetti del boss di Castelvetrano. Progetti che vedono il suo interessamento in prima persona. Affari dei corleonesi, come la famiglia mafiosa di origine. La stessa da cui sarebbe partita una richiesta precisa, dal carcere qualcuno avrebbe indicato in Messina Denaro l’uomo giusto per difendere gli interessi dei corleonesi detenuti. Tre settimane dopo la condanna di D’Alì, a Palermo arriva la consegna di MMD alle forze dell’ordine, mentre è in atto la riforma dell’ergastolo ostativo e dell’art. 41bis. Forse non sarà un caso se in meno di un mese sono saltati i referenti di Cosa nostra nelle sue tre province storiche, Trapani Agrigento e Palermo, lasciando spazio per altri.

(Fonte: 100passijournal.info)