• 22 Novembre 2024 4:11

Quotidiano di ispirazione cristiana e francescana

«E se qualcuno si domanda, dopo aver letto questo libro, fin dove arriva la verità e dove comincia la fantasia, risponderò: i personaggi sono, per ragioni comprensibili, in parte inventati, ma… i fatti! Non sono che deboli immagini della verità. Il mio ruolo si è limitato a descrivere quello che ho visto con i miei occhi o sentito raccontare» (dalla Prefazione dell’Autrice).

A far conoscere in Italia come sia avvenuto lo sterminio dell’intera minoranza armena in Turchia, tra il 1894 e il 1896 e in particolare dal 24 aprile 1915, è stata la scrittrice italiana, di origine armena, Antonia Arslan, nel 2004 con il suo libro La masseria delle allodole, da cui i fratelli Taviani hanno tratto l’omonimo film. Ma già nel 1917, Inga Nalbandian (1879-1929), scrittrice danese sposata a un armeno (e parente dello scrittore di fiabe Hans Christian Andersen), scrive un romanzo-testimonianza sulla strage degli armeni, pubblicato in francese nel 1918 e ora tradotto in italiano da Letizia Leonardi.

L’Autrice narra, attraverso dieci brevi storie, ciò che ha visto e ciò che le hanno raccontato sul massacro del popolo armeno. I racconti sono ambientati nell’ospedale armeno di Costantinopoli dove lavora l’anziano dottor Vahann Ohannian Effendi, personaggio chiave che diviene custode delle confidenze di alcuni testimoni degli orrori visti e subiti.
Scrive l’Autrice nella sua Prefazione: «E se qualcuno si domanda, dopo aver letto questo libro dell’infelice Armenia, fin dove arriva la verità e dove comincia la fantasia, risponderò: i personaggi sono, naturalmente per ragioni comprensibili, in parte inventati, ma… i fatti! Non sono che deboli immagini della verità. Il mio ruolo si è limitato a descrivere quello che ho visto con i miei occhi o sentito raccontare. E ciò che ho vissuto io stessa!».

Impressioni, dolore e bellezza…

Nella notte è anche un libro tenero e delicato che rievoca usi e costumi di un popolo con radici profonde e una cultura fra le più antiche. Nel racconto “Mariam”, Vahann Effendi narra agli orfani dell’ospedale la storia della festa di Vartavar dalle origini ancestrali e così veniamo a conoscenza di una delle più belle feste del calendario religioso armeno: «Era la festa di Anahit, la dea della felicità e della fertilità nella fede degli antenati di duemilacinquecento anni fa, una festa pagana della natura, alla quale il cuore del popolo era così attaccato che, anche dopo l’introduzione del cristianesimo in Armenia nel IV secolo, non fu possibile cancellarla. Fu quindi trasformata nella “festa del diluvio universale”, Vartavar…».

Nel leggere queste pagine si rimane affascinati dalle descrizioni dettagliate dei luoghi, e stupiti dalla capacità della scrittrice di entrare in profondità negli stati d’animo dei personaggi: «… e la passeggiata si faceva sempre più lunga perché non potevamo saziarci di tutto questo splendore… E che vista da lassù! Si vedeva lontano, molto lontano al di sopra delle montagne, fino dall’altra parte del golfo, sopra Ada-Bazar e oltre Bardisak e le cime merlate dal sentiero che conduceva all’antica Nicea… E vi ricordate le donne di Bardisak! Quelle belle giovani donne con occhi dolci e radiosi, con i loro magnifici capelli neri quasi sempre raccolti in diverse trecce e con il loro scuro costume nazionale…».
Un libro denso di immagini e atmosfere cariche di umanità, descritte con pennellate simili ai quadri dei pittori impressionisti: «E i canti la sera! Questo è ancora il ricordo che mi sembra più dolce. I canti nei pascoli, la sera, al tramonto, quando il bestiame rientra al suono dei campanacci, il golfo sottostante si oscura e le stelle si accendono una dopo l’altra e diffondono la loro dolce luce dorata».

Accanto a queste descrizioni tenere e minuziose si mescolano sentimenti di vendetta, di rassegnazione, sbigottimento e orrore. I racconti ci coinvolgono totalmente e non ci lasciano indifferenti, rendendo la lettura ancora più struggente: «Li hanno legati tutti insieme, trenta per volta, e li hanno spinti verso sud. E quelli che non sono stati uccisi durante il viaggio sono morti per la stanchezza, la fame e ogni sorta di malattie orribili, immediatamente o in seguito…». «Sì, mio piccolo fiore, mio piccolo fiore di melograno dal dolce profumo che la tempesta mi ha strappato nella notte oscura. Quando tornerai da tua madre, la tua povera madre che aveva solo te?».

Il primo genocidio moderno

Continua l’Autrice nella sua Prefazione: «La storia, la grande imparziale, cercherà un giorno di stabilire la responsabilità politica per gli incredibili fatti accaduti e giudicherà i colpevoli e i loro complici».
Oggi 29 Paesi del mondo, compresa la Germania, alleata dell’Impero ottomano durante la Prima guerra mondiale, hanno riconosciuto che quello armeno è stato il primo genocidio moderno. Manca ancora il riconoscimento delle autorità turche le quali affermano ancora oggi che si trattò di una guerra civile aggravata dalla malattia e dalla carestia e parlare di genocidio in riferimento agli armeni è tuttora considerato reato penale punito addirittura con il carcere.
Leggendo queste pagine-testimonianza ci si augura che simili atrocità non accadano più ma purtroppo in molte parti avvengono ancora, nella quasi totale indifferenza del mondo.

Il libro è arricchito da un’appassionata Presentazione dell’attrice Laura Ephrikian, di origine armena, e da una Postfazione della giornalista Daniela Cecchini.