L’onore ha avuto un ruolo molto importante nelle culture mediterranee, in quanto elemento sociale tradizionale, basato su patti stabiliti verbalmente, che garantisce il rispetto e l’adempimento degli obblighi contratti. Malgrado sia un singolo a contrarre un patto, l’onore trascende la dimensione individuale per estendersi alla collettività, alla famiglia. Ogni uomo riceve fin dalla nascita una quota di potere che è strettamente intrecciata con l’onore della sua stirpe, in una misura che dipende dalla gerarchia familiare. Per esempio, non hanno la stessa quota di onore il maschio primogenito e gli altri uomini o donne. Allo stesso modo, gli atti di un anziano o di un patriarca della famiglia non sono paragonabili, per rilevanza, a quelli di un giovane.
In tema di onore, la distinzione sessuale svolge un ruolo fondamentale nell’attri-buzione dei ruoli familiari. All’interno delle culture mediterranee, uomini e donne hanno ruoli differenziati. A grandi linee, la donna ha la responsabilità di salvaguardare la purezza del lignaggio attraverso la propria verginità. Quanto all’uomo, a lui tocca la responsabilità di proteggere la reputazione della famiglia. Nel contesto familiare, l’ambito dell’onore include due sfere: quella interna e la passività, tradizionalmente assegnate alle donne; e quella esterna e l’attività, che sono responsabilità degli uomini. Pertanto l’uomo si guadagna l’onore attivamente, compiendo imprese. Dal canto suo, l’onore femminile non si guadagna, ma si eredita e viene perduto soltanto se si compie un’azione vergognosa.
Alcuni autori associano questi ruoli differenziati a due concetti: quello di nome e quello di sangue. Il primo attiene alla fama, al «buon nome», allo stato sociale o alla reputazione, di cui, all’interno della famiglia, è responsabile l’uomo. Alla donna invece è affidato il compito di preservare il «sangue», ossia la purezza della discendenza. In base a questa distinzione, si osserva che gli insulti più gravi che si possano rivolgere a un uomo in molte lingue della cultura mediterranea non riguardano la sua condotta, ma quella delle donne della sua famiglia. Il codice d’onore e la storia della famiglia vengono trasmessi di generazione in generazione. Ogni famiglia, ogni stirpe scrive la sua storia nel contesto di un processo che risale al passato familiare, del quale tramanda le imprese e i successi ottenuti e cerca di passare sotto silenzio le «vergogne». In sintesi, in questo tipo di culture l’onore è stato percepito come un parametro per valutare ogni persona e ogni famiglia dal punto di vista morale e sociale. La salvaguardia dell’onore costituisce un obbligo sociale che sottopone a un giudizio continuo a livello pubblico e genera una pressione etnica, familiare e sociale molto forte su quanti cercano di proteggerlo e di mantenerlo.
Quando parliamo del patriarcato, ci riferiamo a una realtà che caratterizza le società di entrambe le sponde dell’Oceano Atlantico: la violenza sessista esercitata sulle donne. Per le culture mediterranee in particolare, e occidentali in generale, all’interno della struttura del sistema patriarcale i casi di femminicidio rientrano nel contesto dei patriarcati di coercizione, in cui la violenza di genere contro la donna «opera come un meccanismo di controllo, assoggettamento, oppressione, castigo ed efferata aggressione, che genera potere per gli uomini e le loro istituzioni formali e informali. Il persistere del regime patriarcale non può sostenersi senza quella violenza contro le donne che oggi spesso denominiamo “di genere”, senza la violenza degli uomini, dello Stato, dei mezzi di comunicazione, di organizzazioni civili e politiche, delle Chiese e delle forze repressive».
Il termine «femmicidio» ha fatto la sua prima comparsa verso la fine del XX secolo. È stato coniato dalla criminologa sudafricana Diana Russell (1939-2020), vissuta negli Stati Uniti. Se consideriamo femminicidi tutte le situazioni in cui le donne muoiono su quella frontiera «di genere» «dove – come afferma l’autrice – non esistono tempi di pace», il femmicidio designa «l’assassinio misogino di donne commesso da uomini [e che ha per motivo] l’odio, il disprezzo, il piacere o il senso di possesso nei confronti delle donne». Dobbiamo ricordare che, purtroppo, la pratica di uccidere donne è antica.
In America Latina la problematica presenta un fondamento diverso. È un dato di fatto che si commettono femmicidi e che esiste la violenza domestica. Tuttavia il carattere coloniale dei Paesi latinoamericani, associato all’esistenza di società indigene prima della colonizzazione, fa sì che la relazione tra uomo e donna sia a sua volta caratterizzata dalla razza, dalla classe sociale e dallo status migratorio. Un esempio concreto è quanto accade a Ciudad Juárez, dove ogni anno vengono assassinate centinaia di donne povere, operaie e migranti interne. L’assassinio di donne in questo caso è un modo per «marcare il territorio», utilizzando il corpo della donna per dire alla popolazione locale, alla polizia e allo Stato che su una specifica località esiste un dominio stringente e assoluto. I n effetti, la donna viene brutalmente reificata, sottoposta a una violenza tale che non soltanto diventa un modo di «marchiare il suo corpo», ma se ne cerca addirittura la distruzione. La violenza contro le donne è parte costitutiva delle culture dei Paesi latinoamericani? La nostra risposta è affermativa. Se ne ripercorriamo la storia, vedremo che nel processo di dominazione da parte dei conquistatori europei le violazioni commesse dai señores blancos contro le donne indigene e nere erano all’ordine del giorno. Pertanto il femminicidio in America Latina affonda le radici nel sessismo e nel razzismo.
Nelle società postmoderne lo schema onore-vergogna sembra essersi infranto, per effetto dei flussi migratori, della rivoluzione sessuale, dell’omogeneizzazione culturale operata attraverso i mezzi di comunicazione di massa, dell’individualismo neoliberale e del forte impatto della globalizzazione, che ci strappa alla dimensione locale per introdurci in un’arena pubblica e mondiale. Ma la storia non è mai lineare. In quanto tale, ci mostra che quella modernità non è sopraggiunta in modo omogeneo, né in tutte le latitudini e neppure laddove si è prodotta. La sopravvivenza di forti contrasti interfamiliari, sociali o politici in ambiti dove il progresso è in apparenza inarrestabile, in una cornice di globalizzazione planetaria, ha un impatto significativo all’interno di società che non sono state trasformate dai cambiamenti inerenti alla modernità. Analogamente, il perdurare di strutture di potere basate sull’onore di una stirpe, e non su accordi o associazioni tra individui liberi, è segno di relazioni sociali e composizioni culturali che respingono l’orizzontalità propria dei meccanismi del consenso sociale e della democrazia politica. In questo contesto, la libertà della donna di prendere decisioni senza tener conto dei precetti sociali che danno forma all’onore della stirpe provoca un vero e proprio scontro frontale, generato da una società che ripone la legittimazione delle decisioni individuali e sociali nei meccanismi della volontà: tuttavia non di qualsiasi volontà, ma di quella introdotta dal liberalismo classico, che nella sua affermazione teorica la considera una «volontà libera».
Il cambiamento di mentalità potrebbe giocare un ruolo fondamentale nella rottura di quegli schemi culturali che si perpetuano di generazione in generazione. Ciò spiegherebbe anche, in parte, come mai alcune donne decidano di infrangere modelli che, pur essendo stati loro imposti fin da tempi antichi, vengono smentiti dai canoni attuali. Ma che cos’è che favorisce un simile cambiamento in società che, in qualche modo, non hanno avuto una rivoluzione come in Inghilterra e in Francia e che comunque ora cercano un ruolo o uno status diversi? È stata forse la globalizzazione che, contribuendo al cambiamento, ha indotto a superare quello che gli antropologi chiamano «il complesso di supremazia maschile» (complesso nel senso di insieme di elementi diversi che formano un’unità)? O, semplicemente, ci troviamo di fronte a un modello patriarcale che si perpetua, ma questa volta mostrandosi con un volto più affabile?
La nostra storia viene scritta sulla base dell’esperienza che ci conforma, ci alimenta e ci costruisce. Questa storia viene ricreata sulla scorta di narrazioni attraversate da processi culturali, da progressi sociali, da giochi di potere e di trasformazione nella trasmissione dei valori. Un percorso non lineare, nel quale a volte continuano a perpetuarsi uno status quo e una forte struttura di potere sociale. Non c’è dubbio che le società postmoderne abbiano inferto un duro colpo allo schema onore-vergogna mediante processi quali la rivoluzione sessuale, i movimenti migratori e il forte impatto della globalizzazione. Ma questo cammino deve proseguire, essendo abitato anche dall’incontro, dal discernimento e dalla ricerca della verità.
(Fonte Avvenire)