“Un efficace processo di risanamento richiede azioni concrete”. Francesco lo aveva sottolineato concludendo il discorso alle delegazioni dei popoli indigeni del Canada, ricevute in Vaticano, la scorsa primavera. Il viaggio in terra canadese, affrontato con gioia dal Papa nonostante le difficoltà di deambulazione, si è contraddistinto proprio per quelle “azioni concrete” che sono i gesti. Atti che hanno preceduto o accompagnato le parole pronunciate dal Pontefice nel grande Stato nord-americano e, in particolare, i suoi richiami alla giustizia e al perdono come premessa di un autentico cammino di riconciliazione. In un qualche modo, si può affermare che il viaggio stesso sia stato un’azione concreta “dall’impatto enorme”, per riprendere l’affermazione del premier Justin Trudeau. Anche i giornali canadesi hanno pubblicato in questi giorni sulle loro prime pagine grandi foto che immortalavano tali gesti così significativi. Del resto, passati solo pochi minuti dall’arrivo a Edmonton, prima tappa della visita, il Papa aveva già compiuto un gesto tanto semplice quanto efficace per dare sostanza alla definizione “pellegrinaggio penitenziale” da lui indicata per questo viaggio apostolico: baciare la mano di un’anziana signora indigena, durante la cerimonia di accoglienza in aeroporto.
Ogni viaggio papale si può (anche) raccontare per immagini. Ciò vale forse ancora di più questa volta, tanto è stato forte il valore simbolico degli eventi e degli incontri a partire da quello di lunedì scorso a Maskwacis, che ha avuto un suo ideale raccordo con quello conclusivo a Iqaluit, con i giovani e gli anziani del popolo Inuit. Il Papa che, sulla carrozzina, prega silenziosamente nel cimitero della comunità di Ermineskin. Il Papa che bacia lo striscione rosso con impressi i nomi dei bambini morti nelle scuole residenziali e poi in piedi, senza l’ausilio del bastone, sta davanti al capo indigeno “Aquila dorata” che gli pone sulla testa un copricapo segno di rispetto e riconoscimento di autorevolezza. Ancora, quel gesto di riconsegna dei mocassini rossi, simbolo del dolore di tanti ragazzi indigeni, che gli erano stati donati in Vaticano quattro mesi fa. Particolarmente evocativa l’immagine di Francesco assorto in meditazione sulle rive del Lac Ste. Anne, un luogo che unisce nella devozione popoli indigeni e fedeli cattolici. Un’istantanea dal sapore evangelico che ci riporta alle sorgenti della fede e che, come ha poi sottolineato nell’omelia, ci fa immaginare un altro lago, a migliaia di chilometri di distanza, quello di Galilea inscindibilmente legato alla vita e alla predicazione di Gesù.
Anche un gesto “ordinario” come la benedizione di un’immagine sacra qui assume un valore “straordinario”. Quando il Papa, nella chiesa del Sacro Cuore dei Primi Popoli, benedice la statua di Kateri Tekakwitha, la prima indigena nord-americana ad essere proclamata Santa, ci sta infatti dicendo che il lievito del Vangelo può, anzi deve, crescere e fecondare i popoli che incontra senza annullarne l’identità e il patrimonio culturale e spirituale, perché la fede si annuncia non si impone. C’è poi un gesto che non ha fatto i titoli dei giornali ma che dà testimonianza non solo del senso profondo di questo viaggio, ma di una delle direttrici portanti del ministero petrino: “la rivoluzione della tenerezza”. Giovedì, al termine della Messa nel Santuario di Sant’Anna di Beaupré, una mamma ha portato al Papa per farlo benedire il suo bambino, affetto da una grave malformazione. Un momento di grande dolcezza con il Papa che, non solo ha benedetto il bimbo, ma lo ha pure tenuto in braccio accanto alla madre. Anche in questa circostanza, come in tante altre durante il viaggio, la sedia a rotelle non ha ostacolato la prossimità alla gente. Anzi, questa condizione di fragilità ha reso – se possibile – ancora più vicino il Papa a quanti soffrono.
Francesco non è mai rimasto distante dal dolore delle persone che ha incontrato. Per ascoltare, ascoltare con il cuore – ci ha testimoniato tante volte – bisogna stare vicino al prossimo. Un atteggiamento che si è visto molto bene nell’incontro di ieri con gli ex alunni della scuola residenziale di Iqaluit, “ai confini del mondo”. Francesco si è seduto in mezzo a loro in una fila di sedie a forma di cerchio, ponendosi dunque “alla pari”. Arrivato fino a soli trecento chilometri dal Circolo Polare Artico, ha così ribadito concretamente con questo gesto che il pastore deve avere l’odore delle pecore, soprattutto di quelle più lontane e ferite.
Un viaggio quindi che ha visto intrecciarsi armonicamente – come i fili delle fasce colorate delle vesti degli indigeni – gesti e parole, discorsi e azioni concrete. Il gesto, parafrasando il noto mass-mediologo Marshall McLuhan (canadese e cattolico), si è così fatto messaggio. Un messaggio di amore e di riconciliazione.
(Fonte VaticanNews)